“Hallelujah: Leonard Cohen, a Journey, a Song”, documentario sulla storia di un brano leggendario

Hallelujah di Leonard Cohen rientra sicuramente nel novero delle canzoni più amate di tutti i tempi. Il brano, che fu inciso nell’ormai lontano 1984, è divenne nel corso degli anni un successo a livello globale, scelto come cover da innumerevoli artisti e conquistandosi un posto d’onore nella discografia del XX secolo.

Non stupisce che a questa celeberrima canzone sia stato dedicato un documentario, intitolato Hallelujah: Leonard Cohen, a Journey, a Song, diretto da Daniel Geller e Dayna Goldfine, che è stato presentato fuori concorso alla 78a Mostra del cinema di Venezia. Il cortometraggio ripercorre il viaggio grazie al quale la canzone vide la luce. Forse non tutti sanno che il famoso cantautore canadese vi lavorò per almeno sette anni, scrivendo pagine su pagine di appunti per mettere a punto le ben 90 strofe finali che lo compongono (tratte da 180 versi diversi di partenza e circa 250 versioni differenti per ogni riga).

Il documentario è incentrato sulla canzone, ma traccia anche il percorso della vita di Cohen: gli studi a Montreal, l’amore per la poesia e la scrittura di canzoni, l’abuso di alcol, la depressione, gli ultimi concerti di commiato a Glastonbury e Coachella. Ai filmati di repertorio si aggiungono interviste ad artisti come Judy Collins e Glen Hansard, e a quella che per lungo tempo fu la sua compagna, Dominique Issermann.

La canzone non ha molto di cristiano, pur essendo ispirata al gospel e ai discorsi della sinagoga e contenendo strofe con accenni a storie bibliche, come “Now I’ve heard there was a secret chord, That David played, and it pleased the Lord But you dont really care for music, do you?”. Si tratta piuttosto di una preghiera moderna o, come ha detto qualcuno, di un poema simbolista.

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